tratto da Il Regno – Attualità 16/2022

di Luciana Maria Mirri

Ancora un anno e sarà il centenario della nascita di Cristina Campo, ma già il 40° della sua morte è stato onorato il 25 marzo 2017 a Firenze in un convegno internazionale promosso dal Centro studi famiglia Capponi, al fine di celebrarne viva memoria, scavando sempre più nel suo tesoro culturale e spirituale. Cristina Campo, al secolo Vittoria Guerrini, è cresciuta a Firenze, ma è  nata a Bologna il 29 aprile 1923, memoria di santa Caterina da Siena, consumatasi per l’unità Della Chiesa del suo tempo richiamando a Roma il successore di Pietro. Come la patrona d’Italia e d’Europa, spentasi a 33 anni nell’Urbe, anche l’avventura terrena di Vittoria-Cristina si è conclusa a Roma, il 10 gennaio 1977, all’età di 53 anni. Il volume, che raccoglie i contributi del convegno fiorentino, reca in copertina il volto luminoso e sorridente di Cristina, in una foto scattata a Nervi nel 1970. E’ il volto della gioia interiore, quella che irradia da profondità non sempre sondabili alla ragione, ma scavate anche da sofferenze e fatiche dell’esistere, oltre che dalle sfide della fede e della ricerca della verità. La cifra della gioia si coniuga perfettamente in lei con quella della bellezza: sono le due categorie predominanti, che inscindibilmente s’incontrano in ogni sua espressione, esperienza e percezione della realtà. La gioia di Cristina può identificarsi con il bonum agostiniano nel trittico includente pure il verum e il pulchrum, convergendo ineffabilmente nella verità dell’amore. Infatti non le parole, bensì lo stupore con la sua capacità di silenzio è il paradigma della gioia che in Cristina emerge dall’equazione di amore, verità e bellezza enunciati.

Il silenzio della parola umana confluisce nella relazione con la Parola unica nell’abbraccio cosmico del mistero soprannaturale d’uno sguardo magnetico che afferra da dimensioni altre: lo sguardo dell’icona, la liturgia e i sacramenti dove si fa presente il Signore Gesù. Innamorata della Missa Romana, Cristina Campo diventò anche estimatrice della liturgia bizantina, respirando così a due polmoni, il polmone orientale e quello latino.

Roma poté offrirle, finché salute glielo permise, la gioia di partecipare alla Divina liturgia di san Giovanni Crisostomo presso la chiesa di Sant’Antonio abate all’Esquilino, celebrazione che le infondeva l’ebbrezza dello Spirito, nell’armonia integrale dei sensi invasi dal divino tra canti, incensi, icone dorate ed eucaristia sotto le due specie.

Di queste esperienze di gioia e bellezza soprannaturale narrano le lettere indirizzate a John Lindsay Opie, pubblicate nella IV e ultima sezione del libro. Nella I sezione sono offerte le testimonianze di due amici della Campo: Gaetano Paolillo, “Ricordo dell’amica Vittoria Guerrini“, e Giuseppina Cardillo Azzaro, “Tanta gioia in croce”. Nella memoria di un’amicizia preziosa, Paolillo svela il punto d’incontro di comune interesse tra lui, ingegnere chimico, e la Campo, letterata e poetessa:

“Nei nostri discorsi entrava costantemente il destino, o divina provvidenza, con i suoi imprevedibili disegni, come nelle leggi della fisica quantistica. E’ il denominatore di tutte le fiabe”. Cardillo Azzaro, intervistata da Giovanna Scarca, narra per la prima volta l’intensa condivisione spirituale che la legò a Vittoria Guerrini dal 1968 in poi.

La sua testimonianza sottolinea che Vittoria “ha vissuto l’amore per la Chiesa e ha servito la Chiesa”, svolgendo “un ruolo storico che non le è stato riconosciuto”, nel suo impegno ecumenico tra Oriente e Occidente nella strada aperta dal Vaticano II. La II sezione raccoglie i contributi degli studiosi che hanno animato il convegno fiorentino, secondo peculiari prospettive che vanno a comporre una feconda lettura multidisciplinare.

Il card. Jos. Tolentino Mendonça, “L’avventura immensa del credere: una lettura di Cristina Campo”, tra i molteplici nuclei di straordinario interesse riflette sul segreto della parola in Cristina Campo: ella con la parola, ricostruisce l’icona al cuore del nostro tempo, dando alla sua frase una vertiginosa vocazione liturgica”. Sauro Albisani presenta “Contemplata tradere. Frammenti per Cristina”, con una sequenza di suggestioni che culminano nel riconoscerla impegnata in un’ascesi di ablazione dell’io, che rende la sua scrittura una preghiera e la fa appartenere alla “esigua famiglia dei mistici laici.. Giuseppe Goisis in “Andrea Emo, Simone Weil e Cristina Campo: alcune riflessioni”, conduce un’ampia e attentissima esplorazione di opere complesse, confrontando ardite visioni filosofiche e mettendo in luce punti di contatto e distanze tra gli eccezionali interlocutori. Luca Maccaferri tratta di “Cristina Campo e la scrittura eloquente: verità e simbolo in Parco dei cervi”; nel ricostruire la geografia interiore dell’autrice, fa risaltare la sua “anima integra, in ordinato rapporto con le muse” e, soprattutto, “un’incrollabile fiducia nella provvidenza.. Un giudizio risulta stupendo: in lei non vi fu “iato alcuno tra pratica delle lettere e pratica della vita”. Chiude il gruppo Maria-Josep Balsach con “Arte e visione in Cristina Campo e Maria Zambrano”: la loro sintonia si fonda sull’attenzione, fonte e metodo del loro scrivere, “intuizione e forma nel lavorio incessante di uno stile che . ricerca del vero, veduto, contemplato, e ancora e sempre con amore cercato”. Anche questo appartiene alla disciplina della gioia, poiché esso “ la via perfectionis in atto. La III sezione contiene nuovi saggi di studiosi che da decenni continuano a nutrirsi dell’opera inesauribile della Campo, trovandovi un’incandescenza spirituale d’assoluta verticalità.

Per esigenze di brevità riportiamo solo i titoli dei loro contributi: Piero Mazzucca, “Cristina Campo tra pseudonimi e anonimato”; Arturo Donati, “Non si può Nascere ma si può morire innocenti”. Ordinali della trascendenza in Cristina Campo”; Giovanna Scarca, “L’indicibile sguardo di Dio in Canone IV”; Maria Pertile, “La freccia del nostro presente”.  Sulla gioia di Parco dei cervi in Cristina Campo”. Maria Pertile ha posto in Appendice le tre stesure di Diario d’agosto (1953, 1954 e 1960), pagine quasi introvabili che documentano la genesi di un testo mirabile nella sua evoluzione umana, spirituale e letteraria. La IV sezione è introdotta e curata da Alessandro Giovanardi, che alle proprie pagine dà titolo: “Là dove posano i piedi del divino”. Il saggio ricostruisce con acume e precisione l’intenso dialogo culturale e spirituale tra la Campo e Lindsay Opie negli anni difficili delle riforme liturgiche seguite al Vaticano II.

 

Si giunge così alle 13 tra lettere e cartoline che la donna, firmandosi spesso Xtina, indirizza all’amico ortodosso John Lindsay Opie, bizantinista e appassionato studioso di icone, scomparso pochi mesi prima della pubblicazione del volume. Un piccolo frammento da una lettera della Quaresima 1970 restituisce il respiro ecumenico e mistico della Campo:

“Che cosa accade del mio amico? All’inizio (credo) della quaresima ortodossa, mentre noi affondiamo già nel cuore della nostra, vorrei tanto sapere dove e come egli inizi la preghiera e il digiuno e quella attenta e meticolosa distruzione di grani che precede e garantisce gli splendori della primavera. Tra le figure prostrate del Russicum vedo quasi sempre quella, così imperiosa e venerabile del suo direttore e parroco dalle lunghe maniche di raso. Si prostra a qualche passo appena dal vescovo cattolico siberiano – e a me sembra molto strano che John non sia a qualche passo da me, a contemplare la bellezza soprannaturale di quei due volti”.

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