ROMA SETTE-SCAFFALE DOMENICA, 3 SETTEMBRE 2023 – ANNO L – Numero 31
di Eraldo Affinati
La “Crocifissione” (1516) di Matthias Grünewald, nell’Altare di Isenheim conservato nel Musée d’Unterlinden a Colmar; il “Corpo di Cristo morto nella tomba” (1521) di Hans Holbein il Giovane, presente nel Kunstmuseum di Basilea e la “Madonna Sistina” (1514), visibile nella Gemäldegalerie di Dresda sono al centro del Trittico delle cose ultime che Giorgio Gualdrini, architetto e studioso d’arte e teologia, ha pubblicato quest’anno presso l’editore Pazzini (Prefazione di Erio Castellucci, postfazione di Piero Stefani, note a margine di Gabriella Caramore e Maurizio Ciampa, pp. 559, 32 euro).
Si tratta di un libro di grande carica evocativa, frutto del lavoro di una vita, arricchito dal puntuale corredo iconografico e stilisticamente assai ben curato.
L’autore non si limita a raccontare la storia affascinante e multiforme di questi tre capolavori figurativi del Rinascimento europeo, ma si applica, con determinazione e pazienza certosine, a inseguirne le straordinarie risonanze nell’animo dei tanti personaggi che, colpiti dall’esperienza estetica scatenata in loro da tali opere, contribuirono a diffonderle nella moderna coscienza occidentale. Sarebbe impossibile, oltre che incongruo, ricordarli tutti, ma certo non possiamo tacere i riscontri di Giovanni Testori, per il quale le macchie sulla pelle del Cristo di Kolmar sono «escrescenze e oscuri morbi di natura tipicamente vegetale, ferite di tronchi strappati, croste di clorofille malate»; il richiamo di Fedor Dostoevskij, pronto a far dire al principe Miskin nell’idiota che la visione del nazareno disteso nella bara di Basilea potrebbe addirittura “far perder la fede” e la singolare devozione che Lev Tolstoj riservava alla Madonna Sistina di Raffaello, al punto da tenerne in bella vista nel suo studio di Jasnaja Poljana cinque riproduzione fotografiche di altrettanti dettagli. Così apprendiamo, per fare soltanto qualche esempio che Paul Celan, trenta giorni prima di suicidarsi gettandosi nella Senna, era andato a Kolmar o che il giovane economista russo Sergej Bulgakov si convertì al cristianesimo proprio dopo aver visto la Madonna di Dresda, salvo poi molti anni dopo, non riconoscere più, di fronte allo stesso dipinto, la luce del primo incontro. Numerose suggestioni di Gualdrini, insieme a quelle elaborate dal singolo lettore, assomigliano al sasso che, dopo essere stato lanciato, rimbalza sulle acque del lago: il rapporto fra il crash di piaghe e spine di Grünewald e le carni maciullate di Francis Bacon; l’ oscurità angosciosa della notte infinita sopra gli occhi chiusi del Cristo di Holbein e le quattordici “icone” nere della cappella di Mark Rothko a Houston; “l’arcano della maternità”, manifestazione della Grazia, intuito da Vasilj Grossman a Dresda e ritrovato con lancinante forza emotiva nello sguardo ansioso della donna ebrea che stringe il proprio bambino durante la deportazione a Treblinka.